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Open source, riuso e fuffa

Dopo aver considerato alcuni argomenti sull’apertura dei dati, con questo articolo accenniamo alla legislazione in merito agli applicativi a sorgente aperto nella pubblica amministrazione e le possibilità che con questi si aprono nell’ottimizzazione dei costi e delle procedure.
Si può portare anche in questa sede la considerazione di carattere generale proposta in precedenza riguardo alla distinzione fra operazione di convenienza ed operazione culturale: se per i dati una pubblica amministrazione è quasi sempre il maggior produttore, per il software si pone come consumatore (a meno dell’attivazione di circoli virtuosi nel quale gli sviluppatori sono direttamente impiegati dalla PA stessa, qui si potrebbe discutere se sia meglio avere programmatori in-house o snellire la burocrazia delle procedure d’appalto ad esterni) sia di software specifico sia di software generico.

Il quadro legislativo

Il Decreto Crescita 2.0 pubblicato un annetto fa (decreto-legge 18 Ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 221 del 17 Dicembre 2012) prevede la riforma del Codice dell’Amministrazione Digitale, introducendo diverse migliorie sotto l’aspetto del free software e dell’open source. Dal testo vigente si legge che le modalità di acquisizione di software da utilizzare nel lavoro della PA devono seguire diversi criteri tra cui la “valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico” che motiva le varie scelte operate secondo questa scaletta:

a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;
b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;
c) software libero o a codice sorgente aperto;
d) software fruibile in modalità cloud computing;
e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;
f) software combinazione delle precedenti soluzioni.

Il software proprietario deve quindi progressivamente arrivare ad una percentuale minima di utilizzo ed essere comunque giustificato.

Per gli applicativi generici si scade nell’eterna discussione “quale applicazione è meglio per fare x? la forko?” dalla quale ci possiamo astenere: il fatto di usare una soluzione proprietaria o meno in questo caso è un fattore culturale che va combattuto con la (in)formazione.

Riuso ed open source

La riforma di cui sopra ha dato ulteriore impulso alla ricerca di duplicati o soluzioni preesistenti e alla condivisione di soluzioni predisposte da altri enti, ovvero il concetto di riuso introdotto dal CAD originale nel 2005: per i compiti della PA c’è una sezione del sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale dedicata proprio al riuso del software (http://www.digitpa.gov.it/riuso-del-software) dove si trovano l’elenco di applicativi disponibili ad essere riusati ed i criteri per valutare la riusabilità dell’applicativo [solo 140 pagine di linee guida…], sia a livello di amministrazione centrale che locale.

Scorrendo le schede mi viene da domandarmi per qual motivo l’Agenzia non possa diventare una specie di Consip, una centrale invece che di acquisto di sviluppo: così com’è sembra avere un ruolo passivo di archiviazione e catalogazione, mentre dovrebbe stimolare la standardizzazione delle procedure anche tramite l’unificazione dei diversi programmi in uso. Perché la richiesta di un certificato all’anagrafe dev’essere diversa in una regione rispetto ad un’altra? Perché alcuni comuni permettono queste richieste tramite internet ed altri no?
Solo se il riuso tenderà verso applicativi unici per le medesime procedure si arriverà al massimo del risparmio (economico e non solo) e se questi saranno open source si giungerà al massimo della trasparenza e sicurezza: non solo per i dipendenti della PA, ma anche e soprattutto per il cittadino che può verificare e segnalare problemi nel suo stesso interesse nello spirito della libertà di informazione.

Infrastruttura e sistemi operativi

Parlando di unificazione ed con la forma mentis puntata sulle frequenze della spending review, viene logico pensare all’infrastruttura.
Avevo già mostrato in passato come far convivere una postazione Linux con software Windows tramite la virtualizzazione, e resto convinto che per tagliare le spese si dovrebbe usare una distribuzione Linux (senza forkare a caso!) dove possibile, a cominciare da dove si è già migrato a [Libre|Open]Office considerato che la suite da ufficio costituisce un fattore bloccante per una sostanziosa percentuale di migrazioni.
Sono tendenzialmente diffidente nei confronti della nuvola ma vedo che a proposito sono pubblicate anche delle linee guida relative al Disaster Recovery.
Un buon argomento a favore di migrazioni infrastrutturali graduali è costituito dal procedere della conversione delle utenze telefoniche al VoIP (Voice over IP): nel secondo semestre 2012 i telefoni con tecnologia VoIP rappresentavano il 43% del totale monitorato a livello nazionale, e questo articolo sulla migrazione dell’Università di Ferrara dimostra come si possano semplificare notevolmente sia i servizi sia i costi (350 mila euro all’anno di risparmio), addirittura fornendo l’esperienza ad altre amministrazioni tramite la procedura di riuso della piattaforma sviluppata (Voip4U).

Marco Giannini

Quello del pacco / fondatore di Marco’s Box